Pietre d'inciampo

StoriaPietre d'inciampo

di Alessandra Boga

Sicuramente, in pochi sappiamo cosa sono le “pietre d’inciampo”. Sono piccole targhe della dimensione di un sampietrino ( 10 x 10 cm), poste fuori dalla casa di una persona che vi ha abitato per ricordarne la deportazione nei campi di concentramento nazisti. La targa reca il suo nome, l’anno di nascita, la data e il luogo di prelevamento forzato e, se nota, anche la data di morte della persona: una persona che altrimenti sarebbe rimasta al massimo un numero, come avrebbero voluto i nazisti.

Viene apposta per terra in modo che, se qualcuno si trova a passare per quella via, davanti a quella casa, deve per forza “inciampare” in quella targa, in quel nome, in quelle date commemorative di chi lì viveva, prima di essere portato via dalla Shoà.

L’iniziativa di crearle (chiamandole con il termine Stolpersteine) è stata dell’artista tedesco Gunter Demnig ed è stata attuata in diversi Paesi europei a cominciare dalla stessa Germania (la prima “pietra” è stata posta a Colonia nel 1995), poi in Austria, Ungheria, Ucraina, Cecoslovacchia, Polonia Paesi Bassi e Italia. Solamente all’inizio del 2010, sono state messe fuori dal portone di casa dei deportati 22.000 pietre d’inciampo. Le prime posate in Italia, il 28 gennaio 2010, hanno voluto ricordare Grazia Di Segni, Ada e Giuditta Spizzichino e Rossana Calò, che vivevano in Via della Reginella nel cuore del Ghetto ebraico di Roma. Nella Capitale ne sono state poste altre 26 quel giorno, 54 nel corso del 2011, e ben 72 nel gennaio 2012. Poi ancora in altre città italiane.

Le pietre sono proprio in memoria degli ebrei uccisi, che sono stati la maggioranza, ma anche in ricordo di omosessuali, disabili fisici e mentali, rom, sinti, zingari, testimoni di G., pentecostali ecc. Tutti perseguitati dal nazismo.

Domenica 13 gennaio, alle ore 10, verrà posta una “pietra d’inciampo” fuori dalla scuola “Filippo Mordani” di Ravenna, per ricordare Roberto Bachi, un bambino ebreo che nell’istituto ha studiato (con profitto) dal 1937-1938.

La proposta è stata avanzata con forza dall’ “Associazione per l’Amicizia Ebraico-Cristiana di Ravenna” e in particolare dalla sua presidente, Maria Angela Baroncelli, e rientra tra le molteplici iniziative della città romagnola in occasione della Giornata della Memoria.

Il piccolo Roberto Bachi nacque a Torino il 12 marzo 1929. L’11 ottobre 1937 arrivò a Torino con la madre Ines e il padre Armando, il quale era stato trasferito dalla carica di capo di Stato maggiore del comando d’armata di Torino, per assumere il comando della divisione di fanteria Rubicone di stanza a Ravenna. Armando Bachi aveva partecipato come maggiore e tenente colonnello di artiglieria alla Prima Guerra Mondiale e in seguito aveva ricevuto la croce di guerra al valor militare ed altre decorazioni per la sua attività.

Venne arrestato dai tedeschi assieme a Roberto il 17 ottobre 1943, e probabilmente mandato subito nelle camere a gas appena arrivato ad Auschwitz-Birkenau, in quanto considerato ormai anziano (60 anni !) per lavorare. L’ultima resistenza nota di Roberto e della sua famiglia fu Parma, poi lui e il padre vennero fermati a Torrechiara (PR), detenuti a Milano e infine mandati al campo di concentramento tedesco in Polonia il 6 dicembre ’43. A Roberto fu attribuito il numero 167973. Il bambino non tornò più e la data della sua morte è ignota ( fu comunque nell’autunno del 1944, ad Auschwitz-Monowitz).

La madre non era con lui e il marito al momento del loro arresto. Rimane una sua tremenda lettera ad un’amica, lettera in cui Ines scriveva:“Seppi da un amico del loro arresto e che venivano portati via in treno – corsi alla stazione e vidi il treno già lontano – caddi svenuta sul marciapiede – non li ho visti più, non ne ho più saputo nulla”.

Nell’atrio della scuola Mordani è già stata eretta in ricordo di Roberto una lapide, scoperta il 27 gennaio 2003, il Giorno della Memoria di quell’anno.

La posa di altre “pietre d’inciampo” è prevista nella Capitale in questo mese, alla presenza di Gunter Demnig.

Il 14 gennaio 2013 ne verrà posta una per il prof. partigiano Gioacchino Gesmundo, arrestato dai nazisti il 28 gennaio del 1944, in seguito ad una delazione. Egli è stato torturato per 40 giorni dagli uomini di Kappler e Priebke e poi ucciso alle Fosse Ardeatine. La pietra verrà posta in Via Licia 56 a Roma, dov’era situata la sua casa, nella quale aveva ospitato la redazione clandestina del “L’Unità” e l’arsenale dei Gruppi di Azione Partigiana Romani (Gap).

3 commenti 

  • da giampaolo marcato cara alessandra, hai fatto bene a pubblicare questo testo. spero che anche altri amici pubblichino nei loro diari. questa è vera storia che non dovrebbe essere mai dimenticata. ciao giampaolo
  • da lu Ieri oggi e piu' che mai domani .... non dimenticare. Mai !!!!!
  • da angela pirastu Per non dimenticare mai.

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