Ebraico

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di Elena Lattes

Sebbene in realtà, fosse sempre stato usato come lingua franca, anche nei duemila anni di diaspora, da centinaia di migliaia di viaggiatori, commercianti, intellettuali e profughi che, attingendo ai testi sacri e liturgici, riuscivano a comunicare in tutta l’Europa, il Nord Africa e il Medio Oriente, l’ebraico era comunemente considerato una lingua morta, come il latino o come altri suoi omologhi dell’antichità. Poco più di un secolo fa, tuttavia, esso tornò a vivere pienamente, ovvero ad essere parlato correntemente e quotidianamente da milioni di persone, grazie alla ferrea volontà di alcuni uomini, di cui uno, in particolare, Eliezer Ben Yehuda, fu il primo e il più tenace.

Come spiegano Sarah Kaminski e Maria Teresa Milano in “Ebraico”, pubblicato dalle Edizioni Dehoniane, le sue “origini più remote possono essere rintracciate nelle antiche tavolette di argilla risalenti al XIV secolo a.C. e ritrovate per caso da una contadina nel 1887 a Tell el-Arma, una località in Egitto”. Il suo nucleo principale è di origine biblica fortemente contaminato dall’aramaico e, in parte, anche dal persiano, ma negli ultimi centocinquant’anni il vocabolario si è notevolmente ampliato subendo altre numerose influenze.

Il libro, scritto a quattro mani dalle due docenti universitarie di Torino, è un piccolo volume sintetico, che non ha pretese di essere esaustivo, ma che sicuramente è molto intenso e stimolante; le autrici ci accompagnano in un viaggio storico-geografico-letterario e perfino sensoriale nel quale luci, colori, profumi sono elementi ricorrenti e presentati in maniera suggestiva: “i suoi alberi ‘sono di cannella e quando si accende il fuoco per scaldare, il loro odore esala in tutta la terra di Israele’” Il lettore è incentivato ad approfondire i temi trattati con un’ampia bibliografia riportata alla fine di ognuno dei sette capitoli a cui si aggiunge una breve introduzione di carattere esplicativo sulla formazione della lingua moderna. Sette capitoli come sette sono i giorni della settimana, ciascuno dei quali tratta un luogo diverso: Gerusalemme, il deserto (o meglio, i deserti), Beer Sheva, i Monti, Zfat (Safed), Yafo-Tel Aviv, mentre l’ultimo, è dedicato allo Shabbat (il sabato), uno spazio non geografico, ma temporale che forse, però, è più importante dei primi sei e che è stato scelto – piccola curiosità dichiarata in una presentazione – dalla coautrice cristiana che sentiva il bisogno di parlare del riposo e di metterlo in pratica alla fine della pubblicazione.

In ogni sezione, stralci antichi si alternano a brani medioevali, rinascimentali e moderni, riportati sia in ebraico che in italiano e presi da numerose fonti: dalla prosa e la poesia alla musica, passando per l’architettura, la fitologia, la cucina, l’archeologia e, naturalmente, la linguistica. Il testo contiene anche l’etimologia dei toponimi (interessante, per esempio, e probabilmente meno conosciuta, è la radice di Safed, che in ebraico è Tzfat, il cui significato è “guardare lontano, essere di vedetta; in effetti la cittadina è posata sulla cima di un’altura a circa 900 metri e di qui sorvola con lo sguardo la Galilea (…) ma vi sono anche interpretazioni più spirituali e simboliche che vedono, nella sequenza delle tre lettere del nome, tre diversi acronimi (...)”) Dunque, per ogni argomento sono proposte diverse prospettive, anche dal punto di vista religioso, nazionale o etnico. In questo contesto non poteva naturalmente mancare un accenno ad alcune delle numerose minoranze presenti nel Paese come i drusi, i samaritani e i beduini.

Un’altra caratteristica è che per tutti e ciascuno dei sei luoghi fisici sono indicati un canto, una poesia e un albero tipico di quell’ambiente naturale e del quale vengono descritte le peculiarità botaniche.

Vale la pena ricordare un’ultima curiosità che ha sottolineato la Kaminski: è un libro che pur avendo un’organizzazione lineare e un filo logico conduttore, si può cominciare a leggere da qualunque capitolo, dal centro, per esempio, oppure dalla fine per proseguire poi a ritroso (o, come nelle lingue semitiche, da destra verso sinistra).

Come è indicato nella quarta di copertina questa pubblicazione, quindi, “si rivolge a chi studia ebraico e ha già nozioni di grammatica, ma anche a chi desidera avvicinarsi alla conoscenza dell’ebraismo ed è ancora in ‘principio’”.

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