Musica e cervello

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di Elena Lattes

Da sempre, per esperienza diretta, sappiamo più o meno tutti che la musica fa bene “all’anima”. Tuttavia le recenti ricerche effettuate con i più sofisticati mezzi moderni hanno dimostrato che il nostro cervello reagisce diversamente in base al tipo di melodia ascoltata e che questa, in alcuni casi, può avere un’importante funzione terapeutica. Nel mondo sono in tanti a studiare questi fenomeni e alcuni dei risultati ottenuti sono stati raccolti dal dottor Antonio Montinaro, neurochirurgo e critico musicale, in un interessante e godibile saggio: ““Musica e cervello. Mito e Scienza” pubblicato dalla Zecchini Editrice”.

Dopo un bello e commovente preludio in cui l’autore spiega come è arrivato ad interessarsi dell’argomento, condividendo, tra l’altro, i traumi e gli aspetti più intimi del suo vissuto infantile, Montinaro passa a spiegare, in maniera semplice e comprensibile anche ai non addetti ai lavori, il funzionamento dell’udito e l’importanza del suono nell’esistenza degli esseri umani e del mondo in generale. Colpisce l’analogia di molte teorie filosofiche o religiose riguardanti la creazione dell’universo avvenuta attraverso l’emissione di suoni. Non solo nella Bibbia, infatti, si parla del “Verbo divino” (e “Dio disse…”), ma anche in India si parla di “om cosmico”; Prajapati, divinità vedica, era un inno; nell’antico Egitto credevano nel “sole canoro” che aveva emesso il suo primordiale “grido luminoso”; nella mitologia degli Hopi, una delle popolazioni americane precolombiane, la donna ragno, crea il mondo con due parole e cantando una canzone dà la vita all’uomo; in filosofia, poi, esiste il concetto della “musica delle sfere”, secondo cui i pianeti, con il loro movimento, produrrebbero suoni composti da concetti armonico-matematici non udibili all’orecchio umano. La Terra stessa “è intrinsecamente musicale, tutta la vita risponde a suoni e movimenti ritmici. E li crea”. Per non parlare del sistema nervoso che, secondo l’autore, è una grande orchestra “capace di esprimere la più completa gamma di ritmi e melodie e le più complesse combinazioni armoniche.” La musica, dunque, è strettamente legata alla spiritualità, ma anche al pre-linguaggio e aiuta bambini e adulti ad esprimere quel che con la parola non riescono a comunicare.

Ecco, probabilmente, come nasce l’idea di curare con essa alcune patologie, anche non necessariamente neurologiche. Dopo, dunque, aver parlato in maniera chiara ed esaustiva della fisiologia della ricezione e degli strumenti che la possono analizzare (risonanza magnetica, tomografia, ecc.), Montinaro illustra le disfunzioni che la riguardano. La seconda parte, più corposa, affronta invece, singolarmente, i veri e propri problemi di salute che si possono alleviare o addirittura risolvere, attraverso l’ascolto guidato della musica e i relativi studi clinici effettuati sui progressi ottenuti. Sebbene la musicoterapia sia stata utilizzata fin dall’antichità, almeno nel mondo classico, la prima scuola ad essa dedicata fu aperta negli Stati Uniti nel 1944 e nel 1950 fu fondata la prima associazione di musicoterapisti. In Europa, arrivò otto anni dopo, quando nacque in Inghilterra la BSMT (British Society for Music Therapy). Da allora, naturalmente, sono stati fatti enormi progressi e oggigiorno in quasi tutto il mondo esistono centri terapeutici e di ricerca che affrontano le patologie o le situazioni difficili più comuni: dall’ansia, depressione e stress al risveglio dal coma, passando per la pressione alta, l’epilessia, l’Alzheimer, la dislessia, il morbo di Parkinson e il parto. L’autore dichiara di aver sempre usato la musica classica di sottofondo mentre operava e che non solo lui e i pazienti ne hanno trovato giovamento, ma anche i suoi collaboratori hanno imparato ad amare le melodie e la loro bellezza e apprezzare la validità della loro esecuzioni durante i momenti più delicati.

Non tutte le melodie, però, producono gli stessi risultati: alcune delle opere di Mozart (tanto che da oltre cinquant’anni si parla di ”Effetto Mozart”), Vivaldi, Verdi e Puccini sembrano essere più efficaci, ma molto dipende anche dal tipo di patologia o di esigenze e di età.

Naturalmente la musica può produrre anche effetti negativi come è successo con alcuni cantanti moderni, i quali hanno scatenato nei loro fans il delirio o una profonda malinconia, soprattutto negli adolescenti più vulnerabili. Questo, tuttavia, sembra essere il capitolo minore e poco significativo per l’intera ricerca a cui questo libro può dare un importante contributo.

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