Pro Armenia Voci ebraiche sul genocidio armeno

LibriPro Armenia Voci ebraiche sul genocidio armeno

di Mara Marantonio

Una tragedia che pareva dimenticata; un genocidio del quale si sono occupati per lungo tempo solo storici e specialisti, questi ultimi talvolta parenti delle vittime o loro discendenti, pressoché sconosciuto al grande pubblico. Medz Yeghern, cioè Grande Male, il Genocidio degli Armeni -perpetrato dai Turchi negli anni della Prima Guerra Mondiale, in particolare nella primavera 1915, ma con prodromi alla fine del 1800 e con proseguimento fino al 1922- solo di recente è divenuto oggetto di progressivo interesse pure da parte di coloro i quali, pur non studiosi di professione, hanno a cuore sul serio la sacralità della vita e la tutela dei diritti umani.

Il Genocidio, tuttora non riconosciuto dal governo della Turchia, al punto che chi ne parla rischia, in quel Paese, di finire sotto processo ai sensi dell’art. 301 del Codice penale (“Offesa alla dignità nazionale turca”), fu un programma di annientamento di un Popolo in quanto tale -persone, cultura, storia, monumenti, in primo luogo chiese e monasteri, va da sé-, attuato con fredda determinazione, non certo un “danno collaterale” del conflitto, come troppi hanno sostenuto e tuttora sostengono. Fu il primo genocidio del XX secolo, che comportò la morte di oltre un milione e mezzo di persone. La prova generale dalla quale Adolf Hitler seppe ben trarre spunto, tanto che, una volta, dichiarò che, di lì a pochi anni dai fatti, nessuno si sarebbe più ricordato degli Armeni. Previsione vera solo in parte, poiché l’interesse verso la Tragedia di questo stupendo Popolo (che fu primo al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di Stato, nel 301 e.v., precedendo così di alcuni decenni l’Impero romano) è andato via via crescendo. Per merito, in Italia, di associazioni come Gariwo, la Foresta dei Giusti, presieduta da Gabriele Nissim (del quale uscirà, a fine aprile, in occasione del centenario del Genocidio, un volume dedicato ad Armin T. Wegner, ufficiale tedesco, coraggioso testimone oculare, oppositore al nazismo, dichiarato Giusto da Ebrei e Armeni), e di Antonia Arslan, docente universitaria padovana di origine armena, autrice di indimenticabili testi sull’argomento, anzitutto il romanzo La masseria delle Allodole (2004), dedicato alla sua famiglia.

Nell’estate 2012 incontrai la Prof.ssa Arslan allorché ella presentò, a Cortina d’Ampezzo, una sua recente opera; breve, ma bellissima: Il libro di Mush (Ed. Skira), vicenda ambientata durante Metz Yeghern. In quell’occasione ella ci mise a parte dei suoi ultimi studi sul tema, dei rapporti di amicizia e collaborazione instaurati in California con esponenti della vivace comunità armena che vive là, in particolare con l’Avv. Vartkes Yeghiyan e sua moglie Rita.

Grazie pure a costoro stava prendendo corpo il progetto di redigere un testo che raccogliesse voci ebraiche sul Genocidio Armeno: gli esponenti di un popolo perseguitato da tempo immemorabile che raccontano con viva partecipazione le sofferenze inflitte ad un altro popolo, percepito così simile nei drammi, nelle sofferenze, ma pure nella gioia di vivere, nella cultura, nella religiosità profonda. La Prof.ssa parlò, tra l’altro, degli Aaronsohn, la famiglia ebraica di origine romena, trasferitasi in Terra di Israele a fine ‘800, i cui membri, i fratelli Aaron, Sarah, Alex -insieme ad un gruppo di amici- dettero vita, com’è noto, negli anni della Prima Guerra Mondiale, ad un intrepido gruppo, il Nili, il quale svolse opera di spionaggio a favore dei britannici contribuendo, in maniera determinante, alla vittoria di questi ultimi contro l’Impero turco.

Udire la parola “Aaronsohn” e sentir risuonare in sala i nomi dei tre fratelli, tanto uniti tra loro, dei quali avevo visitato, nel 2010, le case poste in quel luogo quanto mai evocativo chiamato Zikhron Ya’aqov, fu per me un’emozione indescrivibile. Ho atteso l’uscita del testo annunciato con una certa trepidazione.

Finalmente, in questi giorni, la Casa Editrice Giuntina pubblica, nella collana Schulim Vogelmann, Pro Armenia - Voci ebraiche sul genocidio armeno.

Nel volume sono raccolte quattro testimonianze, in presa diretta, di Ebrei che hanno assistito in prima persona -da diversi punti di vista, esperienza e analisi- alla nascita e allo svilupparsi del “Grande Male”. Ne ripercorrono la genesi e la travagliata storia, ne evidenziano le caratteristiche e gl’incredibili orrori, ponendo in luce senza alcun infingimento le responsabilità. Responsabilità principali: il governo dei cosiddetti “Giovani Turchi” -il movimento politico che pure aveva suscitato iniziali grandi speranze di modernizzazione e democrazia in un contesto decadente ed arretrato- e, in particolare, della triade costituita da: Enver Pascià, Ministro della Guerra, Djemal, Ministro della Marina, e Talaat Bey, Ministro degl’Interni (“l’uomo forte” del regime). Responsabilità secondarie, ma già precorritrici di ciò che avverrà di lì a pochi decenni: nelle persone dei suoi burocrati senza scrupoli, quelle dell’alleata Germania. Evidente appare, sin da subito, nel lettore, la premeditazione, la volontà di attuare con estrema accuratezza il programma di sterminio.

L’opera, curata da Fulvio Cortese e Francesco Berti, autori dell’istruttiva post fazione, tradotta da Rosanella Volponi, porta l’intensa prefazione proprio di Antonia Arslan, la quale ci presenta i nostri testimoni, autentici Giusti, dei quali sono riportati brani poco noti, ma, proprio per questo, utilissimi. Di tutti, alla fine, sono riportate esaustive note biografiche.

Due diplomatici, operanti a Istanbul nel tremendi mesi della primavera estate 1915.

Lewis Einstein (I massacri armeni, gennaio 1917), anche apprezzato storico (New York, 1877; Parigi, 1967), fu primo segretario di legazione nell’ambasciata statunitense a Istanbul e, in seguito ambasciatore in Cecoslovacchia. Autore di circa un centinaio di pubblicazioni su svariati argomenti, dall’arte rinascimentale, alla storia, alla geopolitica, intrattenne per anni un’interessante corrispondenza con Wendwell Holmes, illustre giurista, membro della Corte Suprema americana.

Andrej Nikolaevič Mandelstam (La Turchia, Parigi, 1918), nato in Russia (1869), studiò a S. Pietroburgo e a Parigi, avviandosi alla carriera diplomatica. Fu segretario dell’ambasciata russa nella (allora) capitale ottomana. Rifugiatosi a Parigi dopo la Rivoluzione bolscevica, si occupò, in via privilegiata, di Diritto internazionale, dedicando le sue energie alla protezione delle minoranze, dove svolse un ruolo di avanguardia. Autore di numerose pubblicazioni, è stato il fondatore dell’Istituto di Diritto Internazionale e “padre nobile” della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che, a più riprese tentò, senza successo, di porre all’attenzione dei più alti consessi internazionali. Essa fu finalmente approvata dall’ONU il 10 dicembre 1948, poche settimane prima della morte (1949) di colui che l’aveva tanto curata e caldeggiata.

Aaron Aaronsohn (Pro Armenia, Memorandum presentato al Ministero della Guerra a Londra nel 1916), agronomo di fama mondiale, ideatore, come detto, del Nili e uno dei Padri morali dello Stato di Israele. Il suo scritto dà giustamente il titolo al nostro libro e ti colpisce nell’intimo per il tono vibrante e per la profonda carica umana. Sappiamo quanto la tragedia armena sia stata alla base dell’impegno politico suo e di Sarah, la quale, nell’estate del 1915, nel viaggio compiuto da Costantinopoli (dove aveva lasciato un coniuge non amato) a casa, aveva visto ciò che era stato fatto agli Armeni dai Turchi e ne era stata segnata per sempre. Giunta in Patria, insieme coi fratelli e gli amici, nel timore, anzi, nel consapevole terrore, che altrettanto potesse accadere agli Ebrei -il che, in parte, succederà, agli abitanti, se non erro, di Tel Aviv-, mette in piedi la meritoria rete spionistica, cui debbono la vita oltre trentamila soldati britannici, ma che a lei porteranno tortura e morte (trovò la forza di suicidarsi per non cedere agli aguzzini ottomani) e ad Aaron la scomparsa, nel 1919, allorché era stato chiamato da Haim Weizmann quale inviato alla Conferenza di pace di Parigi, in un incidente aereo sulla Manica, le cui cause non sono mai state chiare.

Il libro si conclude con il contributo del giurista polacco Raphael Lemkin (1900/1959), Dossier sul genocidio armeno. Ispirato dai suoi studi sulla tragedia degli Armeni, fu proprio Lemkin, figura fondamentale nella riflessione politica e morale della nostra epoca, a coniare, nel 1944, il termine “Genocidio”, definizione accettata dall’ONU nel dicembre 1948.

Un testo la cui lettura è semplice per la scorrevolezza, ma altresì impegnativa, prima che per la copiosa messe di dati, per l’intensa capacità di coinvolgere chi legge. Ci induce infatti a ripensare a quanto accadde nel XX secolo, ma anche, attraverso le pagine dei nostri autori, così attuali nel renderci partecipi di quelle efferatezze (incluso il carattere di persecuzione anticristiana, spesso misconosciuto, che pure Medz Yegern riveste), a riflettere sulle dure prospettive dell’oggi, dove perfino autorità di alto peso politico -e non solo- sembrano frenate dall’incertezza e dall’incapacità di dimostrare un autentico coraggio morale.

 

(Titolo originale Pro Armenia. Jewish Responses to the Armenian Genocide, Center for Armenian Remembrance -CAR-, Glendale, California, Vartkes Yeghiayan, 2011)

 

A cura di Fulvio Cortese e Francesco Berti; Introduzione di Antonia Arslan, Trad. Rosanella Volponi, Ed. Giuntina, collana S. Vogelmann, Gennaio 2015, pp. 132, € 12,00 

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