Romanzo viennese di David Vogel

LibriRomanzo viennese di David Vogel

di Mara Marantonio

Non conoscevo la figura di David Vogel fino al mese scorso allorché ho letto, tra le opere in uscita presso Giuntina, il titolo Romanzo viennese, pubblicato in Israele nel 2012. Pochi giorni dopo Shulim Vogelmann, anima della Casa Editrice fiorentina, mi ha fatto pervenire, graditissimo omaggio, una copia del libro. E’ nata in me un’immediata passione per questo scrittore. La vita un po’ misteriosa -perfino sulle circostanze della tragica morte non c’è uniformità di notizie-; la produzione letteraria, assai limitata, ma che lo pone accanto a classici come Franz Kafka, Joseph Roth, Thomas Mann e -aggiungo- Stefan Zweig. Confesso che pure ora, a lettura completata, fatico a distaccarmi da questo volumetto color arancione dall’intrigante immagine in copertina: è difficile infatti mettere in ordine pensieri, notizie, tematiche, tanti sono i piani che si intersecano.

Nato il 15 maggio 1891 a Satanov in Podolia (ora Ucraina) da una famiglia ebraica religiosa, David Vogel ben presto incominciò a viaggiare per motivi di studio, dapprima nell’Est Europa; poi nei Paesi vicini. Nel 1914 si trovava a Vienna, quando fu arrestato, all’inizio della Grande Guerra, quale cittadino di un Paese nemico. Soggiornò poi, per un certo periodo, a Parigi: ivi cominciò la sua attività di scrittore. Successivamente (1929) lo troviamo in Terra di Israele, nell’appena sbocciata Tel Aviv, ma, temperamento inquieto, vi restò solo un anno: il torrido clima mediorientale infatti non gli garbava. Ritornato nel Vecchio Continente, visse sempre in ristrettezze economiche, abitando in diverse città. Allo scoppio del secondo conflitto fu ancora arrestato; ma dai francesi, quale cittadino austriaco; indi dai tedeschi, in quanto ebreo. Deportato nel 1944, morì ad Auschwitz.

Di lui possiamo affermare che, nella vita, ebbe due intense passioni: la scrittura e le donne.

La sua prosa rappresenta un insolito anello di congiunzione tra Europa e Israele: scelse infatti di esprimersi in ebraico, una lingua all’epoca riscoperta da poco tempo che egli, al pari degli altri autori, contemporanei e successivi, modellò ed arricchì; ma lo fece -questo è l’aspetto originale- restando nell’ambito europeo. Fino a pochi anni or sono si conoscevano, oltre ad alcune raccolte di poesie e diari: un romanzo, Vita coniugale -ambientato a Vienna negli anni ’20, che vide la luce a Tel Aviv nel 1929, pubblicato in Italia da Adelphi diverso tempo fa- e un paio di novelle.

Sorretto da prologo ed epilogo -che appaiono quasi slegati tra loro- ambientati a Parigi nei primi anni ’20, il cuore di questo romanzo ha come sfondo Vienna a inizio ‘900. Qui lo scrittore, con un geniale coup de théâtre limitandosi ad allusioni espresse con linguaggio concreto ma evocativo, fa entrare in scena il protagonista,  Michael Rost -alto, biondo, diciottenne ebreo senza un soldo-, di punto in bianco, senza nominare direttamente né la capitale austriaca, né la destinazione (la Terra d’Israele) -peraltro ben presto abbandonata- scelta da lui in un primo momento, allorché aveva lasciato i luoghi d’origine nell’Impero zarista in cerca di fortuna. Michael è mosso da una straordinaria voglia di vivere, dall’ansia di cogliere fino in fondo qualsivoglia occasione la vita possa offrirgli. “Era avido di tutto, sazio e affamato a un tempo, ansioso di sondare la vita in tutti i suoi anfratti…di esaurire tutte le possibilità che aveva dentro.” La prosa, pur a tratti carica di risvolti assai amari, è ricca di paradossi, suggestioni, musicalità, Witz. In una parola: piacevolissima. Grazie all’incontro casuale con Peter Dean, spregiudicato uomo d’affari americano che lo prende in simpatia e gli dona una notevole somma di danaro, Rost affitta una stanza in una rispettabile casa borghese. Qui la padrona, Frau Gertrud Stift, affascinante trentacinquenne, approfitta della momentanea assenza, causa affari in altra città, dell’insignificante coniuge per intraprendere col giovane ospite un’infuocata relazione. Nella casa vive pure la figlia quindicenne, Erna, capelli corvini e incantevoli occhi azzurri, assai graziosa, pur ancora un po’ informe; ma che pare promettere bene, quanto a vivacità e spregiudicatezza. Nei confronti del nuovo arrivato prova un irresistibile, quanto ambivalente, sentimento. Da una parte, ella è infastidita dalle battute di spirito che questi le rivolge, trattandola, a bella posta, come una bambina; dall’altra è attratta da quel bel giovanotto educato sì, ma ironico, disincantato e per questo oltremodo affascinante. Ha capito al volo la tresca che questi ha instaurato, appena giunto, con la madre; e dunque prova un’irrefrenabile gelosia. Che accadrà? Facile immaginarlo! Le giornate trascorrono tra caffè e parchi pubblici dove c’è sempre un’orchestrina che suona, un valzer o una czarda. E nella Ringstraße il ritmico battere degli zoccoli dei cavalli sul selciato si alterna allo sferragliare dei tram. Ecco le prime automobili.

Vienna è la protagonista del romanzo, non a caso omaggiata nel titolo. Capitale di un Impero ormai prossimo al disfacimento, ma ricca di fermenti culturali in tutte le direzioni. Un ambiente definito “Gaia Apocalisse”, in grado di creare un collegamento, tuttora attuale, tra scienze biologiche e letteratura; la Vienna Jugendstil di Sigmund Freud, Egon Schiele, Oskar Kokoschka, Gustav Klimt. Attentissimo lo studio dei caratteri e degli ambienti, avvolti da un raffinato erotismo -non a caso il libro è stato definito “romanzo erotico”- che non scade mai nella compiacente volgarità fine a se stessa. Un pulsare irrefrenabile di vita: “Ogni momento possedeva una propria bellezza, ogni giorno, ogni notte, ogni goccia di pioggia, ogni soffio di vento…” Ma accanto al desiderio di Vita, di Eros emerge, in modo talora esplicito, talora velato, un irrefrenabile istinto di Morte; perfino in un uomo disinibito come Peter Dean. Sotto la superficie di quel mondo vellutato intuisci quindi il dramma, l’imminente sfacelo, che continuerà anche dopo la Prima Guerra Mondiale, fino all’Irreparabile. Ma di tutto questo paiono non curarsi Michael ed Erna: assistiamo ad un elegante duello amoroso / erotico tra i due giovani, entrambi inesperti e palpitanti. Allorché si accorge che tra i due sta nascendo qualcosa, Gertud prova un profondo sentimento di ostilità nei confronti della figlia, unito alla consapevolezza che il tempo corre inesorabile, nel vuoto di un’esistenza trascorsa accanto ad un marito mai amato e che non la ama. Tra le braccia di Rost ella aveva provato l’illusione di poter ricominciare una nuova esistenza, ma la speranza sta rapidamente svanendo. Per di più si è resa conto di come, in un lasso di tempo tanto breve e proprio grazie all’incontro con lui, Erna, da insicura adolescente, si sia trasformata in una giovane donna, consapevole della propria forza, in grado di tener testa -con calma olimpica- alla madre.

L’aver conosciuto e, sia pure a suo modo, amato la ragazza non rappresenta invece per Michael, all’apparenza preso da lei, un motivo di crescita e di maturazione affettiva. Egli non trova di meglio che lasciare la casa, non appena inizia il tempo delle vacanze. Una nuova sistemazione gradita non tarda a presentarsi. Non lontano lo aspetta una sistemazione ancora più confortevole: una camera da letto e un salotto. Lo ritroviamo alla fine del romanzo vent’anni dopo il soggiorno viennese, a Parigi, quarantenne, sempre ramingo. Dopo una nottata trascorsa al tavolo da gioco a seguito della quale ha perduto tutto il suo danaro, annuncia alla compagna di turno, giovane e viziata, di volerla lasciare per “ricominciare da capo”. Dubito che si sarebbe trovato qualcuno disposto a credergli. Che ne sarà di questo cinico ed incosciente Peter Pan? Il Tempo passa ancora più rapido per tipi come lui, incapaci di comprendere le gravi derive della Storia. Diversi anni dopo l’avido Indicibile li coglierà impreparati.

Nel 2010 Lilach Nethanel -giovane docente presso l’Università Bar Ilan di Ramat Gan-, esaminando il fascicolo relativo a David Vogel (il n. 231), conservato presso l’archivio letterario Gnazim, rinvenne, tra le carte dell’Autore, un manoscritto costituito da diverse cartelle, redatte in una scrittura dai caratteri piccolissimi, leggibile in modo agevole solo con la lente d’ingrandimento, ricca di correzioni e cancellature. Era quasi occultato da altri testi, mescolato ad oggetti diversi, testimonianze palpabili di un’esistenza errabonda e tormentata: lettere, cartoline affrancate, un appunto sull’ora di partenza di un treno, la chiave di una porta “che non chiude più nulla”, ecc., ecc. Dopo attento esame la studiosa comprese di trovarsi di fronte non a semplici appunti, bensì ad un’opera del tutto autonoma; giovanile, poiché alcuni motivi e temi ivi abbozzati si ritrovano nei romanzi posteriori più noti; sicuramente incompiuta: probabilmente l’Autore -in un momento non ben precisato- l’aveva messa da parte col programma di lavorarvi ancora in un periodo successivo. Ma la Storia, tragica ed inesorabile, aveva deciso altrimenti.

L’appassionante vicenda del manoscritto trovato per caso, spesso presente in letteratura quale finzione, qui si colora di verità, con mille sfaccettature; a cominciare dal mistero concernente il percorso compiuto da esso prima di arrivare all’archivio Gnazim, per continuare nei rapporti con le altre opere, nonché con l’esigenza di dare forma plausibile a questa Splendida Incompiuta.

Un “romanzo nel romanzo”, complesso ed affascinante, di cui Nethanel dà conto sia nella “Postfazione” che nella “Nota sul testo”, scritta con Youval Shimoni. Anzi proprio in detta breve nota i due curatori si assumono una seria responsabilità di fronte al lettore: la scelta di aver lasciato il romanzo “a uno stato grezzo” (come essi affermano), in cui la cornice parigina -che vede un Rost maturo e disincantato- sostiene il nucleo centrale della storia -col protagonista giovane ed esuberante-, fa emergere, in modo palpabile un mondo ricco di vitalità, sensualità, sentimenti forti che ti accompagna a lungo, anche dopo che hai terminato l’ultima pagina.

 

 Traduzione di Alessandra Shomroni; Postfazione di Lilach Nethanel; Nota sul testo di Youval Shimoni e Lilach Nethanel, Ed. Giuntina, collana Diaspora, Marzo 2014, pp. 272, €.16,50

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