Con la testa sotto la sabbia di Massimo La Verde

LibriCon la testa sotto la sabbia di Massimo La Verde

di Alessandra Pontecorvo

Una storia semplice semplice, quanto può esserlo una rivelazione. Del resto, anche Francesco De Sanctis l’aveva capito, nella sua immensa capacità critica, che “la semplicità è compagna della verità come la modestia lo è del sapere”. Una storia autobiografica dalla narrazione molto lineare, come lineare e profondamente onesta è la persona che l’ha scritta. Massimo La Verde nella vita fa il poliziotto (il poliziotto vero, mica di quelli che stanno alla scrivania; lui lavora nelle squadre anti-droga) e ha una vita piena di cose da fare. Se ha affrontato la fatica immane di scrivere un libro è perché è stato spinto di un fortissimo senso di giustizia. Ha voluto rimettere le cose a posto. E’ successo che da ragazzino, Massimo era un fascistello, di quelli che per contratto ce l’ha con gli ebrei. E girava con una croce celtica al collo. Per lui questo era assolutamente normale, il gruppo di appartenenza glielo richiedeva. Ma un giorno, a scuola ha incontrato un ragazzo ebreo che per quella croce celtica lo ha trattato male. Gli ha mollato un bel ceffone. E allora Massimo, che è una persona per bene, col tempo ha capito che quegli amici fascistelli non li aveva scelti, gli erano capitati; e che dei loro valori non condivideva nulla. Ha cercato, negli anni, di rovesciare il suo punto di vista: studiando e leggendo, informandosi, si è messo dalla parte dell’amico ebreo e del dolore che gli aveva dato, un dolore tanto forte da doversi esprimere mediante un contatto fisico. Un segno forte, un invito a svegliarsi dal torpore della mente. Ha capito in cosa aveva sbagliato, Massimo: nell'ostentare il suo conformismo. La sua colpa era il conformismo, non la cattiveria. E’ abbastanza straordinario che qualcuno, in questi tempi di ottundimento generale, senta la necessità di fare uno sforzo per decostruire le proprie convinzioni, per ricrearsene di nuove. Le convinzioni, più sono stupide più sembrano la coperta di Linus. Il passo successivo, vent’anni dopo, è stato quello di cercare il compagno di scuola ebreo perché se non le raccontava a lui, le sue scoperte che aveva fatto, a chi le doveva raccontare? Chi ci condanna, chi vuole annientarci, non è migliore di noi, ha scoperto Massimo. E’ solo qualcuno che ha bisogno di odiare qualcosa che non conosce. Ma il giudizio senza conoscenza è un inutile atto di arroganza, destinato a essere spazzato via. Quello che mi viene da dire a Massimo è: sia ben chiaro, è molto diversa la buonafede di chi tiene la testa sotto la sabbia da chi costruisce false accuse e le divulga col metodo goebbelsiano. Ma comunque, benvenuto nel club di chi ancora crede che le parole Giustizia e Verità, Umanità e Onestà abbiano un senso. Allora: Massimo va a cercare l’amico per raccontargli le sue scoperte e l’amico per prima cosa si scusa dello schiaffo. Qui ci sono due straordinarie maturazioni a confronto, questi due uomini seguitano a educarsi a vicenda perché si stimano e si vogliono bene. Poteva, in questa storia di maschi, mancare la metafora dello sport? No, non poteva mancare. Lo sport è il pugilato, in cui l’amico ebreo di Massimo ha incanalato la sua necessità di difendersi perché non si risolvesse in una voglia di attaccare e basta. E il pensiero di Massimo va a Pacifico Di Consiglio, il pugile ebreo che, in tempo di guerra, ha agito, si è battuto, ha usato la forza per ribellarsi all’oppressione nazi-fascista. Ma poi c’è un altro amico: Mauro, che ha portato Massimo in Israele. Il racconto dell’impatto con Israele è straordinario: la costante è lo stupore. Stupore di fronte alla professionalità degli addetti alla sicurezza dell’aeroporto, che riescono a farti vuotare il sacco su tutto ciò che ti riguarda, prima di farti salire sull’aereo. Stupore per quanto Gerusalemme e Tel Aviv sono diverse. Stupore per il Mar Morto, un mare che più cerchi di immergerti più ti fa girare come un birillo. Stupore al check-point, fermato da una ragazzina con i brufoli, armata di tutto punto e graduata. Il bagaglio riportato a casa da Israele Massimo lo ha riassunto che questi nomi: Yad Vashem e Ghilad Shalit. Yad Vashem e Gilad Shalit. “Solo entrando allo Yad Vashem ci si rende conto che in quei ghetti, una volta colpito dall’odio e dal pregiudizio, ci poteva essere chiunque di noi.” E poi c’è stata la tenda della famiglia Shalit: Massimo è andato a vistare i genitori di Ghilad Shalit nella loro tenda e si è accorto che, tra le tante bandiere che segnavano la solidarietà dei Quattro Angoli del Mondo, mancava il Tricolore. Tornato in Italia, ha fatto confezionare una bandiera e l’ha riempita di firme e l’ha fatta vedere alla famiglia Shalit. Se ci mettiamo che “Con la testa sotto la sabbia” è uscito in coincidenza con la liberazione di Gilad, ci rendiamo conto che questo libro doveva assolutamente essere scritto.

Massimo La Verde “Con la testa sotto la sabbia”, Sovera Edizioni, pp 158, 15 Euro.
 
 

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