Le ragioni della protesta degli ebrei etiopi in Israele

AttualitàLe ragioni della protesta degli ebrei etiopi in Israele

di Alessandra Boga

Tra aprile e maggio, a Gerusalemme e a Tel Aviv, si sono verificate violente proteste da parte degli ebrei etiopi, scontri con la polizia in cui vi sono stati numerosi feriti. Un po’ come è avvenuto a Ferguson o a Baltimora negli Stati Uniti, i cosiddetti falascia –scritto anche falascià o falasha – oppure come preferiscono definirsi “Beta Israel”, la “Casa di Israele”, accusavano gli agenti di “violenza razzista” nei loro confronti. Durante le manifestazioni scandivano slogan come “Né bianchi né neri, solo esseri umani" e "I poliziotti violenti vadano in carcere", riferendosi alle violenze subite da un soldato di origine etiope da parte di due agenti, riprese in un video.

I poliziotti incriminati sono incorsi nella sospensione e nel successivo licenziamento. Poi il primo ministro Netanyahu – davanti al cui ufficio sono avvenuti alcuni scontri – ha ricevuto una delegazione di ebrei etiopi della quale faceva parte anche il soldato ferito.

Com’è nata la storia degli ebrei etiopi in Israele, protagonisti tra l’altro del romanzo “Vai e Vivrai” di Radu Mihaileanu ed Alain Dugrand, dal quale è stato tratto un film? Tra il novembre del 1984 e il gennaio del 1985 gli ebrei dell’Etiopia arrivarono con i voli top secret dell’Operazione Mosè, organizzata dallo Stato ebraico – in particolare dal Mossad – e dagli Stati Uniti. Era stato finalmente riconosciuto loro lo status di discendenti del re Salomone e della regina di Saba e quindi riconosciuto che Israele era la loro casa. Fuggirono così dall’Etiopia, allora sotto il regime filosovietico di Menghistu, che impediva loro di fare l’alya, e passarono in un drammatico e a volte tragico esodo il confine con il Sudan, nei cui campi profughi rimasero anche anni in condizioni terribili. Era estremamente difficile arrivare nella Terra Promessa e purtroppo, anche giunti in Israele, la situazione non si è rivelata semplice: gli ebrei neri hanno spesso denunciato di aver subito del razzismo. Oggi sono 135mila su otto milioni di israeliani e sono considerati dei paria dalla maggioranza silenziosa della popolazione; addirittura dei “falsi ebrei”, nonostante il sostegno di due autorevoli rabbini come Ovadia Yosef (1920, Baghdad – 2013, Gerusalemme) e Shlomo Amar.

Inoltre rispetto al resto dei cittadini di Israele i Beta Israel sono mediamente molto poveri, i meno scolarizzati – anche se i più giovani sono inseriti in progetti educativi e religiosi specifici – e quelli maggiormente sottopagati. In più ci sono intellettuali che denunciano che gli ebrei etiopi sono stati oggetto di un’assimilazione forzata che ha cercato invano di annullare i loro legami identitari con la tradizione ebraico-africana. Un documentario intitolato Vacuum, realizzato dalla giornalista israeliana Gal Gabai, ha addirittura sostenuto che il governo avrebbe continuato per anni ad imporre alle donne ebree etiopi la somministrazione controllata di un pericoloso anticoncezionale, il Depo – Provera, per ridurre la crescita demografica della popolazione di origine etiope.

Dopo le recenti proteste, è arrivato il mea culpa del presidente israeliano Reuven Rivlin per le discriminazioni che i Beta Israel hanno subito: “Non abbiamo visto e non abbiamo ascoltato abbastanza: tra chi protesta nelle strade, ci sono alcuni dei nostri più eccellenti figli e figlie, studenti dotati, e coloro che servono nell'esercito”, ha detto Rivlin.

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