La vicesindaca di Tel Aviv:

CuriositàLa vicesindaca di Tel Aviv: "Io, di origine etiope, salvata dall''Operazione Mosè'"

di Alessandra Boga

Si chiama Mehereta Baruch-Ron e aveva 9 anni nel 1984, quando il Mossad e la Cia organizzarono un passaggio tra il Sudan ed Israele per salvare dalle persecuzioni oltre novemila ebrei etiopi in quella che sarebbe passata alla storia “Operazione Mosè” – perché li avrebbe portati nella Terra Promessa –. Tra questi profughi c’erano Mehereta e due sue sorelle:  per più di tre settimane si fecero 800 chilometri a piedi dal loro villaggio, nel nord dell’Etiopia, fino ad un campo profughi in Sudan, dove rimasero per sei mesi. Poi attraversarono l’Europa e poterono finalmente prendere un volo della compagnia israeliana El-Al per poter atterrare all'areroporto Ben Gurion.

Il governo sudanese fece finta di nulla, ma di quell’esodo moderno si accorsero i Paesi arabi suoi alleati, che bloccarono le partenze degli ebrei. Allora i servizi segreti organizzarono le Operazioni Joshua e Salomone, nel 1991. Ci vollero sei anni perché la famiglia di Mehereta potesse ricongiungersi in Israele.

Lì “ci chiamano falasha, il nome etiope per chi è forestiero”, ha raccontato di recente in un’intervista al “Corriere della Sera”; “Non è un bel termine, ma l’idea di essere fuori posto e che ci fosse una terra promessa, la mia vera patria, ad attendermi, mi ha accompagnata fin da bambina. Ricordo che una delle mie zie aveva studiato e poi lasciato il villaggio per andare in città a insegnare. Io avevo 7 anni e tremavo per lei, costretta a nascondere di essere ebrea”. Ci sono ebrei di origine etiope che lamentano discriminazioni in Israele, ma di certo Mehereta Baruch-Ron ce l’ha fatta nel luogo dove lei e i suoi cari sono “nati una seconda volta”: è diventata la “seconda cittadina di Tel Aviv”.

In questa veste è recentemente venuta a Palazzo Marino a Milano per il conferimento a don Virginio Colmegna del premio “Uomo dell’anno 2016”, attribuito dagli Amici del Museo d’arte di Tel Aviv. La motivazione era “la sua dedizione ai poveri e ai più deboli” e l’ “aver fatto dell’arte e della cultura strumenti di accoglienza e di integrazione”.

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