Titivillus

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di Elena Lattes

Piccolo ma, come ogni demone che si rispetti, malvagiamente insidioso, Titivillus è ritenuto da molte tradizioni europee (soprattutto cattoliche, ma anche evangeliche), il responsabile di refusi e omissioni. Diffuso in tutte le espressioni artistiche, sia letterarie che visive, il suo nome compare lungo i secoli, dal Medioevo in poi, in oltre venti versioni: da Tutivillus (la più frequente insieme a Titivillus) a Thittwill e Tibini, passando per Titivitilarius e Titulinus.  Anche la sua etimologia è incerta poiché potrebbe provenire dal latino e voler dire minuzia o inezia oppure dal verbo sassone “tutil” che significa suonare il corno. In un piccolo e simpatico saggio, “Titivillus”, appunto, pubblicato dalla casa editrice Graphe, Julio Ignacio Gonzàlez Montañés, docente universitario spagnolo, diffonde i risultati della sua ricerca riguardante questo diavoletto, concepito dall’omiletica nel dodicesimo secolo. Quasi sempre raffigurato come un abile e raffinato intenditore di letteratura, linguistica e scrittura, nonché conoscitore di tutte le lingue del mondo per poter meglio tentare i fedeli nei loro idiomi, le sue origini, in molti casi, vengono fatte risalire addirittura ad Adamo ed Eva, quando, come primo grammatico, li indusse al politeismo.

Inizialmente anonimo – il nome gli verrà attribuito soltanto trent’anni dopo – esso registra su una lunga pergamena le parole saltate o storpiate dagli uomini di chiesa durante la messa per poi presentarle, come prova accusatrice, dopo la loro morte, nel giorno del Giudizio. Da lì la storia si sviluppa, assumendo ruoli e connotazioni differenti a seconda del Paese e della cultura religiosa. Così, il demone, di volta in volta, invece di scrivere, raccoglie in un sacco gli errori non solo dei chierici, ma anche della gente comune. Oppure, in particolare nel mondo anglo-germanico, annota le parole vane e i pettegolezzi dei fedeli, soprattutto delle donne che, sempre secondo la concezione maschilista medievale, erano più inclini o più facilmente inducibili a distrarsi e a chiacchierare invece di seguire la funzione religiosa; e siccome lo spazio per i peccati, si sa, non basta mai, il piccolo demone è costretto ad allungare la pergamena con le unghie o con i denti così tanto da  arrivare a sbattere la testa ad una parete o al pavimento e suscitare ilarità tra i presenti. O ancora: grazie all’aiuto di collaboratori, distrae i monaci oratori o confonde gli scrivani e i copisti o addirittura ruba l’attrezzatura necessaria alla scrittura o fa cadere l’inchiostro. Da qui a diventare “il patrono degli stampatori” il passo è relativamente breve. Anche se all’inizio i refusi e gli errori, nonostante siano particolarmente numerosi, non vengono attribuiti al diavoletto che dovrà aspettare il diciannovesimo secolo per essere citato nientemeno che dai dizionari inglesi. 

In teatro, sempre in epoche relativamente più recenti, Titivillus è rappresentato come un personaggio “comico e sovversivo che spiega la sua missione in un miscuglio di vernacolo e latino maccheronico”, raccogliendo nel suo sacco “il nome completo dei peccati dell’umanità”.

Una figura, dunque, concepita inizialmente per infondere timore e stimolare ad un comportamento più sobrio chierici e laici, diventa nel corso dei secoli un personaggio goffo e comico, quindi anche meno pauroso di altri suoi “colleghi”.

Il libro riporta molte citazioni originali in francese, latino, tedesco e inglese, accompagnate tutte dalla relativa traduzione in italiano, tanto da rendere il testo godibile per  chiunque che, dopo averlo letto si sentirà sollevato/a, potendo attribuire la responsabilità dei propri errori e refusi a Titivillus.

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