Irene Némirovsky: Un amore in pericolo

LibriIrene Némirovsky: Un amore in pericolo

di Mara Marantonio

 “La difesa era numerosa e brillante, ma gli avvocati venuti da Parigi si sentivano a disagio tra gli abitanti del paese, che si facevano beffe delle loro grandi maniche e dei loro abiti neri”

 

Ancora un piccolo volume, edito da Elliot, che riunisce tre racconti di Irène Némirovsky sotto il titolo che prende il nome dal primo di essi, Un amour en danger.

 

Eccone in breve i motivi conduttori.

Il Rimpianto. Un amore in pericolo fu pubblicato su Le Figaro il 22 febbraio 1936.

E’ apparso, con lievissime differenze di traduzione, all’interno di Siamo stati felici, raccolta da me commentata da ultimo.

Poiché in tale recensione non mi ero occupata di questa novella, alcuni brevi riflessioni.

L’intensa passione tra Sylvie e Hervé, dopo alcuni anni, richiede una pausa. L’amore sull’altare del quale entrambi, tempo addietro, avevano sacrificato tranquillità e routine, esige un po’ di riposo. Ella lo trova, sia pur per poche ore, in Thierry (giovane parente di Hervé), il quale forse è segretamente innamorato di lei. Un indizio, sia pure anomalo, di ciò risiede nel fatto che la donna insieme alla quale egli si appresterebbe a partire, di lì a poco, per un luogo lontano, le assomiglia molto. Almeno così appare da una fotografia. Immagine autentica? O inganno romantico di lui per nascondere i suoi veri sentimenti?

E’ preferibile l’ansia sofferta dell’amore o un attimo di sereno piacere? Dilemma che non trova una vera risposta. Meglio quindi fingere un’impossibile amicizia. Il dubbio di Sylvie servirà all’Autrice, alcuni anni dopo, per l’ossatura del romanzo Due (1939).

 

L’Egoismo. Giorno d’estate uscì nella Revue des Deux Mondes l’1 aprile 1935, quale primo di quattro racconti apparsi sull’autorevole periodico letterario francese.

E’ stato il primo lavoro di Irène Némirovsky che ho letto.

Lo scoprii per caso circa quattro anni fa, allorché, in una libreria della mia città, Bologna, lo sguardo cadde su un quadernetto color beige chiaro….

Il cuore della novella, ambientata in una grande villa padronale situata nell’Île de France, è il contrasto drammatico tra il desiderio di gioco e di vita della piccola Anna Maria, che si appresta a compiere cinque anni, e il misero egoismo degli adulti (madre, padre e nonno materno), sempre più chiusi in se stessi ed isolati l’uno dall’altro, perché incapaci di amore autentico.

Sopra tutti loro: una natura statica ed indifferente alle vicende umane.

 

L’Illusione di Vivere. L’inizio e la fine apparve il 20 dicembre 1935 sul periodico parigino Gringoire. Su questo testo, nuovo per me, mi soffermo di più; anche perché è quello che preferisco.

La prima edizione italiana è di qualche anno fa a cura della medesima piccola Casa Editrice (Ed. Via del Vento, Pistoia) che ha pubblicato altre opere minori, tra cui Giorno d’estate.

In sintesi i fatti.

In una cittadina francese di provincia si sta per celebrare il processo a carico di René Barret -figlio di un ex ministro, Adrien- accusato di aver ucciso, circa un anno prima, la moglie.

La vicenda all’inizio era stata insabbiata, liquidata come incidente; poi però particolari inequivocabili avevano fatto emergere, oltre ogni ragionevole dubbio, la verità: si era trattato di uxoricidio.

Subito la pubblica opinione si era divisa sulle motivazioni del gesto estremo. Per i sostenitori di Barret padre trattavasi di delitto passionale, commesso da René in un attimo di smarrimento e di gelosia; mentre i detrattori insistevano nel rilevare l’importanza dei debiti di gioco accumulati via via dall’imputato, ma soprattutto davano notevole peso a quel contratto di assicurazione sulla vita a nome della donna, stipulato proprio dal marito.

L’accusa è rappresentata dal Procuratore Camille Deprez, ben conosciuto dalla coppia Barret per essere stato ospite a casa loro tempo addietro.

La madre di René, con un éscamotage, si reca di persona, alla vigilia dell’apertura del processo, presso l’abitazione del magistrato, creando in questi non poco imbarazzo e contrarietà.

La scrittrice lavora di cesello nel delineare, penetrare caratteri ed ambienti.

E’ un registro narrativo che incontriamo in tutte le sue opere, fino alla sinfonia finale, Suite française, la grande Incompiuta -la quale nondimeno mantiene, nei due libri che hanno potuto vedere la luce, una propria, solida autonomia-, alla cui composizione Irène era impegnata al momento dell’arresto, il 13 luglio 1942. Tanto impegnata da non prestare ascolto a chi la scongiurava di andarsene dalla Francia, verso la Svizzera; non volle farlo. “Perché dovremmo fuggire? Non abbiamo fatto nulla di male”. Certo. Ma era ebrea e questo, per i nazisti e i loro caudatarii francesi, rappresentava il male assoluto, un peccato originale che neppure il battesimo cattolico era in grado di cancellare.

Nel presente racconto Irène ci coinvolge in un serrato vis à vis, espresso da un raffinato gioco psicologico. Autentico duello nel quale è quella madre, al di là dell’insensatezza del suo gesto, ad avere la meglio.

Il Dr. Duprez: uomo in sé piccolo, gracile, insignificante, per di più minato da un male della cui inesorabilità parrebbe non rendersi conto, è in grado di ritrovare salute e sicurezza non appena indossa in aula la toga rossa da Procuratore generale. Ma, a casa sua, in abiti civili, sembra di nuovo dimostrare l’originaria fragilità; tanto da non trovare altra difesa, di fronte a all’intrusa piombatagli in salotto, che lo sminuire il proprio ruolo -in fondo è la giuria che decide, non lui!-. Senza peraltro dimenticarsi di rammentare all’interlocutrice la propria inflessibilità di giudizio.

La Signora Barret: bassa di statura, grassa -“quasi senza collo”-, il viso distrutto dall’angoscia, una certa follia nello sguardo, come un animale da preda cerca il punto debole in chi gli sta davanti per passare meglio all’attacco. Ora gioca la carta della disperazione materna, spiegando -o almeno giustificando- il gesto del figlio accecato dalla gelosia nei confronti della consorte fedifraga; ora insinua che magari la condanna di quell’imputato eccellente porterà al Procuratore una progressione di carriera. Ma non trascura di dare per scontato che pure l’accusatore dovrà presentarsi -ben presto- davanti ad altro Tribunale, più inflessibile di quello degli uomini: il male di cui soffre non perdona, lo sanno tutti, no?

Quest’ultima affermazione suscita un’irrefrenabile angoscia nel Dr. Duprez, visto che la visitatrice si era presentata, all’ingresso, come un’amica della moglie del suo medico curante.

Quando, pur a seguito di ripetuti inviti del padrone di casa, esce, la Barret è certa di aver riportato, davanti a se stessa, un vero trionfo, di aver saputo cogliere l’occasione della sua vita!

Rimasto solo, il Procuratore si abbandona a preoccupate riflessioni e cerca conforto dallo stesso medico, andando subito all’ambulatorio di lui. Questi, dopo alcune vaghe rassicurazioni di circostanza, è costretto a rivelargli la verità: la natura del tumore asportato di recente non è affatto benigna, come in un primo momento gli aveva comunicato, bensì maligna. Ma, si consoli: può vivere ancora, in discreto stato di salute, un paio d’anni! O forse più, chi mai può dirlo, con questi mali, sempre così imprevedibili? Di fronte a simile…consolante prospettiva -ha solo quarantotto anni, un’età ancora abbastanza giovanile, pure ai tempi in cui il racconto è stato scritto- egli inizia a tracciare un bilancio della propria esistenza, bilancio che, nonostante l’immagine che gli altri hanno di lui (o così almeno crede), gli appare negativo: “….non aveva mai incontrato sul suo cammino l’evento che scatena il successo”.

Per questo tutta la vita, nello spasmodico tentativo di annullare la sproporzione tra ciò cui aspirava e ciò che riusciva ad ottenere, aveva cercato la progressione di carriera, l’autoaffermazione.

Con questo spirito si presenta all’indomani in Tribunale lui, temuta personificazione dell’accusa, nel confronto silenzioso con Adrien Barret, ma soprattutto con se stesso.

Tutto il suo comportamento durante le sedute del processo è volto a dominare la scena.

Con quella voce, talora quasi timida, dove però, di colpo, allorché il tono si alza, un “timbro nasale penetrante dava ad ogni conclusione di frase un giro ironico e implacabile”. Le dure e fredde repliche con cui interrompe le diverse testimonianze completano la rappresentazione.

Ma il culmine è la requisitoria finale contro l’accusato: banditi ogni dubbio e traccia di umana pietà. O almeno ciò è nelle intenzioni di chi la pronuncia; poiché, si sa, le vie della giustizia sono…infinite.

In ogni caso il Procuratore Duprez si è preso la rivincita, ha ottenuto ciò cui aspirava fin da giovane. Ha avuto, come del resto la Sig.ra Barret in precedenza, la sua Illusione di vita.

Ora può anche morire tranquillo.

 

(Titoli originali: Un amour en danger; Jour d’été; Le commencement et la fin)

Trad. Monica Capuani, Ed. Elliot, Collana Lampi, Roma, Giugno 2013, pp. 92, €. 9,00

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