Apre il primo museo ebraico in Tunisia

Cultura generaleApre il primo museo ebraico in Tunisia

di Alessandra Boga

Apre le porte il primo museo ebraico della Tunisia, testimonianza di più di 3000 anni di presenza ebraica nella regione. Una volta la stessa Tunisia era patria di più di 100.000 ebrei, ora ce ne sono solo 1.500.



La Tunisia è una terra ricca di cultura e tutti coloro che hanno cercato di conquistarla (Romani, Turchi, Francesi) hanno lasciato segno del loro passaggio in questo piccolo Paese nordafricano con 10 milioni di abitanti.
 
 

Due tunisini, un fotografo di nome Rimtimimi e un ristoratore ed artigiano chiamato Gilles Jacob Lellouche stanno dietro al progetto e alla fondazione di questo museo. Forse per ammantarsi di un’aura di moderazione, il nuovo governo tunisino eletto dopo la cacciata di Ben Ali ha sostenuto l’iniziativa.
 
 

Il 25 ottobre 2011, Lellouche, titolare di un ristorante kosher chiamato "Mamie Lili", situato nel sobborgo tunisino di La Goulette, è stato il solo ebreo candidato alle elezioni. Non ha vinto un seggio, ma ha fatto a modo suo un pezzetto di storia.
 
 

Haim Damari, un israeliano che vive in Tunisia da quando era bambino, ha dichiarato ad “Israel Hayom che il museo “potrebbe potenzialmente diventare un punto focale per gli ebrei di tutto il mondo”. Pensando anche al turismo, Damari ritiene che il museo possa attirare nel Paese numerosi visitatori ebrei, ma anche osservato che “fondare un museo ebraico in un Paese arabo, al momento attuale, non è una questione banale”.
 
 

Prima delle rivolte dei mesi scorsi, circa di 10 milioni di persone all’anno visitavano la Tunisia. Funzionari locali hanno mostrato molto interesse per sostenere iniziative turistiche, per tornare a i numeri di visitatori precedenti.
 

 
 

Riguardo alla specifica iniziativa del museo ebraico, però, la Tunisia è stata preceduta dal Marocco. Casablanca, capitale economica del Regno marocchino, ha il suo museo ebraico dal 1996, anche se è entrato in attività solo due anni dopo (con una mostra dedicata a Cèlia Bangio, direttrice dell'orfanotrofio che in passato occupava l'edificio che ora ospita il museo).
 
 

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