Donne reporter di guerra, ancora quasi un tabù

Cultura generaleDonne reporter di guerra, ancora quasi un tabù

di Alessandra Boga

 La regista TV Yael Lavie, che ha lavorato in varie zone calde del Medio Oriente, si è lamentata sul portale on-line di Haaretz del fatto che le giornaliste sono ancora guardate come qualcosa di insolito sui fronti più pericolosi della terra.
 
 

Poco tempo fa tre corrispondenti TV donne (Sarah Sidner della CNN e Zeina Kodr di Al-Jazeera) hanno ricevuto il premio “Successo dell’anno” da Women in Film and TV - WFTV (un'organizzazione composta da donne che lavorano nel cinema, in tv e nei media digitaliper i loro servizi sulla “primavera araba”. I giudici hanno affermato che le tre giornaliste hanno costituito un esempio per le loro colleghe, scegliendo di stare per le strade con i ribelli e di raccontare gli eventi mentre infuriavano gli scontri, invece che, ad esempio, restare in comodi hotel a Tripoli o in altre capitali dei Paesi in tumulto come hanno fatto altri.
 

Corrispondenti di guerra donne esistono dalla Prima Guerra mondiale, ma solo durante la Guerra del Vietnam hanno rotto definitivamente il tabù nella coscienza collettiva. Infatti fino ad allora la corrispondenza di guerra è stata un affare “solo per uomini”, come lo erano le azioni militari.
 
 

Dalla guerra del Vietnam, invece, donne freelence armate soltanto del tesserino di giornaliste, sono partite per Saigon e per altri fronti caldi senza chiedere alcun permesso. Si trattava anche di un evidente segno dei tempi: erano gli Anni Sessanta, il femminismo vedeva i suoi albori e rendeva più accettabile che le donne lavorassero in certi campi.
 
 

Negli ultimi 10 anni, con eventi bellici come il lancio dell’ “Operazione Enduring Freedom” in Afghanistan, la guerra in Iraq e, più recentemente la “primavera araba”, la presenza di donne in ruoli rischiosi non è più off-limits. In teoria. Già, perché la percezione di fondo rimane quella secondo cui “una donna non deve rischiare in certi posti”. Soprattutto nei Paesi islamici possiamo immaginarci cosa ciò significhi.
 

Lo ha dimostrato il caso di Lara Logan, corrispondente Esteri per la CBS. Lara, con i suoi lunghi capelli biondi e occhi azzurri, si è recata in piazza Tahrir in Egitto proprio quando erano in corso i tumulti che avrebbero portato alle dimissioni di Mubarak. Ha subìto abusi sessuali ed è stata picchiata “perché creduta ebrea”.
 
 

Il pregiudizio sulle donne giornaliste non risparmia nemmeno gli americani. “Ehi signora, cosa sta facendo qui?”, è stato chiesto da un generale americano a Gloria Emerson, reporter del New York Times ed una delle prime donne ad aver convinto il suo direttore a mandarla in una zona di guerra (Vietnam, 1964).
 

La stessa Yael Lavie, all’attivo da 17 anni come regista TV , racconta di essersi trovata nella stessa situazione a Baghdad nel 2003 e lo scorso febbraio in piazza Tahrir.
 
 

Niente primavera per le giornaliste. Neanche per loro.
 

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