Cinema"Lettere da Berlino"

di Mara Marantonio

“Sto scrivendo…lettere che dicono la verità”

 “Nei miei sogni vedo tanta gente che lancia sabbia negl’ingranaggi”

 “18 cartoline…..su 285….”

 Otto ed Elise Hampel sono una coppia di coniugi di mezza età, appartenenti alla piccola borghesia berlinese: capo officina meccanico il primo, casalinga la seconda.

Vivono in un modesto appartamento di periferia e cercano di mantenersi quanto più possibile lontani dall’esaltazione che ha contagiato tutto il Paese: l’uomo non è nemmeno iscritto al partito nazista; quanto a lei, partecipa alle iniziative messe in atto dalla Lega delle donne del Reich, ma senza troppo entusiasmo.

Certo però che l’avvento al potere di Hitler aveva suscitato in loro tante speranze: finalmente la Germania è rispettata nel mondo!

Quando tuttavia, durante la vittoriosa campagna del maggio 1940, il fratello di Elise, arruolatosi volontario, cade combattendo in Francia, il loro stato d’animo muta all’improvviso; la coscienza si risveglia. 

Otto, supportato ben presto da Elise, comincia a riempire i caseggiati della città con cartoline, non affrancate, scritte con grafia incerta, inneggianti alla lotta contro il regime nazista, alla pace, alla libera stampa; pensieri che fanno leva sui sentimenti più sacri.

E si spinge via via in zone sempre più lontane dal loro quartiere.

I due sono ben consapevoli del grave rischio che corrono, ma decisi ad andare fino in fondo.

L’iniziativa viene scoperta dalla GESTAPO, la quale sguinzaglia i propri uomini in una spietata caccia all’uomo. Sulle prime, senza successo, poi, complici circostanze maligne, i coniugi vengono scoperti, catturati, processati e condannati a morte.

Saranno ghigliottinati, come, nello stesso anno (1943), i giovani studenti fratelli Hans e Sophie Scholl, capi del gruppo “La Rosa Bianca”, sorpresi a distribuire, coi loro amici (anch’essi quasi tutti uccisi) volantini contro il regime hitleriano all’Università di Monaco.

Una forma di lotta non violenta, ma forte, espressione di gente dal sentire alto; come tale, insopportabile per Adolf Hitler e i suoi scherani.

La vicenda degli Hampel non poteva non interessare un Autore tedesco di livello.

Lo scrittore è Rudolf Wilhelm Friedrich Ditzen; nato a Greifswald nel 1893, morto a Berlino nel 1947, conosciuto con lo pseudonimo di Hans Fallada.

Egli adottò questo nom de plume traendolo dalle fiabe dei fratelli Grimm: il nome, da “Hans im Glück” (“La fortuna di Gianni”); il cognome, da una raccolta di storie dal titolo “Die Gänsemagd” (“La guardiana di oche”) in una delle quali si racconta di un cavallo chiamato Fallada.

Persona dalla vita molto drammatica fin dagli anni giovanili -ebbe, tra l’altro, forti contrasti col padre che sognava per lui una carriera di giurista-, le sue opere riguardano per lo più scritti a sfondo sociale, ambientati nella Germania di Weimar.

Il romanzo più noto è: “Kleiner Mann, was nun?” “E adesso, pover’uomo?” (1932), la storia di un giovane contabile tedesco, Johannes Pinneberg, borghese onesto e laborioso, che viene avvinto dalle spire della miseria causa la grave crisi economica che colpisce il Paese negli anni ‘20 del Novecento.

Nel 1946, allorché era già molto ammalato -oltre che alcolizzato e dipendente da farmaci, ricoverato a più riprese in istituti psichiatrici-, Fallada ricevette gli atti del processo che aveva portato alla condanna degli Hampel e, nell’arco di appena ventiquattro giorni, alla vigilia della morte, scrisse un romanzo di forte intensità drammatica, ispirato assai da vicino a quella vicenda di morte e di libertà.

Si limitò a cambiare i nomi dei protagonisti: Otto ed Elise Hampel divengono, nella trasposizione letteraria, Otto e Anna Quangel; per conferire maggiore tensione alla vicenda, poi, la persona che muore in guerra non è il fratello di lei, bensì il giovane figlio della coppia, Hans.

Il titolo è “Jeder stirbt für sich allein”, cioè “Ognuno muore solo”.

Il ritratto di una Germania stretta tra l’indifferenza degli spietati burocrati, da una parte, l’ansia, il desiderio di vita, misti a disperazione, dall’altra, danno vita ad un’opera di grande valore, definita dal grande Primo Levi come uno dei più bei libri sulla resistenza tedesca contro il nazismo.

Peraltro essa è rimasta a lungo dimenticata e riscoperta in anni recenti negli U.S.A.

Anche una prima edizione italiana, presso Einaudi, scomparve presto, senza vedere ristampa.

E’ merito di Sellerio se essa ha rivisto la luce nel 2010 (collana La memoria).

Vincent Perez, cinquantaduenne regista -è pure un brillante attore-, di origine spagnola, nato in Svizzera (Losanna) e formatosi in Francia, è rimasto assai colpito da questa vicenda, all’apparenza tanto modesta quanto inutile: due coniugi anonimi vengono stritolati dal meccanismo, ancora ben oliato e funzionante, di un regime orrendo. Vengono infatti uccisi nel 1943: ce n’è ancora di strada da percorrere prima che il Terzo Reich dalle ambizioni millenarie crolli!

Perez è di padre spagnolo, come svela il cognome, e di madre tedesca; suo nonno fu fucilato dai franchisti e un prozio venne ucciso nella Shoah. Un legame pure personale, il suo, con quanto è narrato nel libro.

Ne è nato un bellissimo film, che consiglio davvero di vedere.

L’opera, presentata in concorso alla 66a Berlinale, è nei cinema italiani dal 13 ottobre.

Per impersonare i protagonisti non poteva essere compiuta scelta migliore.

La britannica Emma Thompson, raffinata interprete, presta anima e volto alla casalinga tedesca, in lotta con le necessità quotidiane, alla quale è stato tolto il bene più grande, il figlio, da una guerra assurda, espressione di un regime, in cui, all’inizio, lei forse, ma, senz’altro il marito, credevano.

Anzi, sulle prime, rinfaccia al coniuge tutto questo: “La tua guerra, il tuo Hitler”.

Ma quando acquista consapevolezza della situazione, commossa dalla determinazione coraggiosa di Otto, fa sua la battaglia di lui, vincendo la (poco convinta) resistenza del marito il quale, per timore delle conseguenze,  non vorrebbe coinvolgerla.

“Voglio venire con te, non puoi impedirmelo!”

A Otto dà volto l’attore irlandese Brendan Gleeson , da me -confesso-  non conosciuto fino ad ora. Otto è ben organizzato, va a distribuire le sue cartoline non senza aver prima indossato un paio di guanti bianchi, così da non lasciare impronte; ha stampata sul volto quell’espressione senza nome, da incapace di qualsivoglia ribellione. Essi sono due isolati, circondati dalla (quasi) indifferenza generale, ma ad un dovere di coscienza non ci si sottrae, nemmeno se è chiaro, fin da subito, che ciò forse non sortirà alcun effetto pratico; nemmeno se dovrai pagare con la vita quello che hai messo in atto hai il diritto di ritirarti.  Ma in dovere di andare avanti, in solitudine.

Da qui il titolo del romanzo.

Personaggio non reale, ma inventato da Fallada e ripreso da Perez, è l’ispettore della GESTAPO Escherich, al quale è affidata l’indagine, interpretato dal bravo Daniel Brühl; visto, da ultimo, in “Woman in Gold”: è il giovane giornalista austriaco che aiuta Maria Altmann e l’Avv. Schönberg nelle loro ricerche sulla proprietà del ritratto di Adele Bloch Bauer, dipinto da Gustav Klimt.

Per Escherich la caccia all’ “uomo-ombra” è questione di principio, ma soprattutto, di sopravvivenza: se non sarà in grado di esibire il frutto del suo lavoro, mal gliene incoglierà.

Ma anche quando lo scopo è stato raggiunto perché la sorte maligna lo ha aiutato, egli percepisce dentro di sé un oscuro tormento. La ruota girerà, prima o poi, contro di lui e, nascosta ma percepibile, una brutta fine, anch’essa in solitudine, aspetta il momento migliore per ghermirlo.

Paura e dolore; e rimorso che prende corpo.

Otto l’aveva supplicato di tener lontana Anna, di non arrestarla e processarla; ma Escherich non l’ha ascoltato: esige un trionfo pieno. Sarà questa sordità a perderlo.

In un mondo grigio, atomizzato, intriso di terrore -com’era nel desiderio del regista- splendono figure positive, cariche di umanità e dolcezza.

La postina, pronta ad aiutare chi è nel pericolo, senza darlo a divedere.

O la Signora Rosenthal, l’anziana ebrea, vicina di casa dei Quangel. Ella aspetta - o illude se stessa di attendere- il ritorno a casa, nella loro casa, del marito arrestato tempo addietro. Quando un gruppo di giovani SS entra nel suo appartamento per arrestarla, rammenta ad uno di loro con un leggero sorriso che dice tutto: ?Non ti ricordi quando venivi da me ad assaggiare la torta di mele?? O il giudice Fromm, silenzioso nella sua coerenza morale. Non è certo uomo di regime, visto che abita in un modesto appartamento, sito nello stesso caseggiato di Otto e Anna. Sarà il giudice ad esaudire l?estremo desiderio della donna, prima del patibolo. Una scena d?intensa tenerezza, che vale tutto il film.   

 

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