Arte"La musica parlerà per noi", un progetto per non dimenticare i musicisti uccisi nella Shoà

di Alessandra Boga

La brillante e assai suggestiva idea è del maestro Francesco Lotoro, musicista ebreo di Barletta: raccogliere in un titanico lavoro d’archivio, svolto con passione e impegno, le musiche cantante e composte dai musicisti ebrei deportati e poi uccisi nei campi di concentramento durante la Shoà, opere che altrimenti sarebbero magari scomparse, come i loro autori, senza possibilità di essere ricordate e apprezzate. L’auspicio di Lotoro e di quanti collaborano con lui è che questa miriade di spartiti e note recuperati e copiati nell’arco di vent’anni, possa essere, come fosse un’unica grande opera, suona in simultanea in tutte le città d’Italia durante il Giorno della Memoria, il 27 gennaio 2014.

Finora sono venute alla luce 4.000 opere musicali e la ricerca non è ancora conclusa. Ciò significa provare a realizzare l’ambizioso ma non impossibile obiettivo di organizzare 500-600 concerti di circa un’ora e per farlo è necessario organizzare una rete di musicisti professionisti, di compositori (per copiare, revisionare e far suonare quelle partiture), una rete  di enti, associazioni e città disposti a dar vita al progetto e cercare giornalisti che gli diano visibilità.di musicisti professionisti, di enti, associazioni e città pronte a ospitare di musicisti professionisti, di enti, associazioni e città pronte a ospitare

 I ritrovamenti portano alla ribalta compositori come l’ebreo polacco Rodolf Karel, inviato al campo di concentramento di Theresienstadt, spesso punto di transito per Auschwitz, e decantato dai nazisti come “campo modello” dove la musica era tollerata. A Theresienstadt furono mandati altri compositori, come Pavel Haas, Viktor Ullmann, Hans Krása and Gideon Klein, e qui morì un mese dopo l’internamento lo stesso Karel nel 1945.

“Come musicista sentivo che c’era qualcosa che andava fatto”, spiega Lotoro in un’intervista. Non aveva idea, all’inizio, a che cosa sarebbe andato incontro: il maestro pensava di cavarsela in pochi anni di ricerca con alcune decine, un centinaio di opere, ma “in realtà quella che si aprì fu un’autentica voragine, che ancora oggi non si è chiusa, un vulcano in continua eruzione”, prosegue il compositore.

Ha raccolto centinaia di testimonianze su quegli sfortunati colleghi, parlando con i sopravvissuti all’orrore della Shoà: un doloroso viaggio musicale nella memoria. “Occorreva non solo trovare il cartaceo, quindi i manoscritti, i quaderni, opere o già pubblicate o in corso di pubblicazione, ma occorreva anche contattare i sopravvissuti: quello che poi decuplica il materiale ritrovato” con interviste, con oggetti conservati dagli ex internati, coi loro ricordi, comprese canzoncine e musiche a memoria. “Certe volte la mente del deportato, dell’ex deportato, quando lo incontri, non è limpida, ma non devi forzarla”, fa presente il musicista; “quindi lo lasci parlare per ore e alla fine la melodia torna insieme alle parole”.

Dunque, anche se è difficile immaginarlo, nei lager la musica c’era, ultima resistenza umana degli ebrei alla barbarie nazista. “Generalmente non era un fenomeno ostacolato nei campi, non era un fenomeno sovversivo: poteva diventarlo, naturalmente, e a quel punto le autorità del campo erano molto severe”, spiega Lotoro. “Nonostante tutto la musica veniva in un certo senso anche incoraggiata: è una tattica anche psicologica, né più né meno simile quella che viene utilizzata in tutti i sistemi penitenziari” e, nel caso dei campi di concentramento, una tecnica usata per dare al prigioniero l’illusione della normalità, una speranza di salvezza, pur cercando di cancellare di fatto le intelligenze e le vite di coloro che hanno prodotto quelle forme d’arte. Grazie a “La musica parlerà per noi”, le loro vite e le loro intelligenze emergono dalle ceneri dei forni crematori e possono arrivare fino a noi.

Allora “dobbiamo chiederci oggi cosa sarebbe stata la storia della musica, se questi musicisti fossero sopravvissuti; è difficile viaggiare con i <>, ma è possibile vedere cos’è l’arte, cos’è la musica oggi e cosa sarebbe stata; cos’avrebbero potuto fare  musicisti che allora viaggiavano da 30, 40-45 anni, se la deportazione, le privazioni, la malattia, le camere a gas, non ci avessero privati di loro”.

 

 

 

 

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